E’ probabile che le vicende climatiche delle ultime settimane, con temporali che in diverse zone d’Italia hanno visto precipitazioni con chicchi di grandine delle dimensioni di un pallina da tennis piuttosto che incendi che stanno distruggendo isole intere, come sta accadendo a Rodi, stiano “spostando” l’attenzione sull’emergenza clima, facendo passare in secondo piano, in questa fase, le preoccupazioni legate all’economia. Complice anche il periodo estivo, in cui la voglia di “distrazione” e il desiderio di rimandare a settembre il ritorno alla “quotidianità” (per quanto si calcoli che circa 9,3 milioni di italiani le ferie non potranno permettersele).
Chi, almeno per il momento, in ferie non andranno sono le autorità monetarie.
Questa settimana, infatti, prima la FED (mercoledì 26) poi la BCE (giovedì 27) si riuniranno per ufficializzare una decisione che, in realtà, sembra già scontata. I mercati, infatti, ormai sono convinti che verranno confermati i rialzi, di qua e di là dell’Oceano, dei tassi di 25 bp. Un aumento uguale, che però si innesta su una situazione molto difforme.
Gli USA si trovano, come noto, già oggi con un’inflazione “core”, vale a dire al netto di energia e alimentari, al 4,8%, mentre il costo del denaro è nella “forchetta” 5/5,25%, vale a dire un valore superiore a quello dei prezzi. Se si dovesse dare ascolto alla scuola di pensiero che dice che per ridurre l’inflazione il prezzo da “pagare” è una recessione e che la stessa arriva quando i tassi stanno per un po’ sopra l’indice dei prezzi, si potrebbe pensare che il nuovo aumento è quasi una “dimostrazione di forza” della Banca Centrale americana più che una necessità e che la strada di una caduta dell’economia è già segnata. Peraltro, i segnali che arrivano dall’economia americana al momento continuano a stupire per la loro “resilienza”, con un’occupazione che rimane a livelli da record e con le aziende che continuano a “macinare” utili (in questo senso, la settimana che si apre oggi potrà confermare o meno la tendenza, con circa 150 società quotate che pubblicheranno i loro dati).
Un po’ diverso il discorso per quanto riguarda l’Europa.
Da noi, a fronte di un’inflazione core ancora al 5,5% (per quanto anche nella UE la pressione dei prezzi sia in costante diminuzione), i tassi si trovano al 4%, un livello “quasi” unanimemente (l’Italia è tra i Paesi “schierati” contro il rialzo)riconosciuto ancora troppo basso per uscire “vincitori”. Va anche detto che le condizioni dell’economia europea sono un po’ diverse da quelle americane, con una disoccupazione maggiore e dati molto difformi tra un Paese e l’altro. Sul lato dei profitti aziendali, per esempio, per il secondo trimestre le previsioni sono per un calo pari a circa il 9%: se così fosse sarebbe il primo ribasso dopo il dramma del Covid. In realtà, se prendiamo la Borsa italiana, il risultato dovrebbe essere intorno alla parità (anzi in rialzo dello 0,4%, per un “monte dividendi” pari a € 77,8MD). Ma se dal conteggio escludiamo le aziende energetiche, saremmo addirittura in crescita, con un + 10%, grazie soprattutto al traino delle banche, mentre in Germania, che si trova in una situazione pressoché analoga, il maggior “contributore” è il settore tecnologico.
I mercati, sino ad oggi, hanno dato ampia fiducia alla teoria “dell’atterraggio morbido”, come dimostrano rialzi che vanno, da inizio anno, dal + 34,5% del Nasdaq al + 18,4% dello S&P500, dal 21,7% di Milano (miglior borsa europea, anche se rimane distante ancora del 40% dai massimi) al + 9,5% dell’Eurostoxx 600. Ma per il secondo semestre si prevede che l’eventuale conferma passerà, appunto, attraverso il risultato degli utili che mano a mano verranno comunicati.
La settimana si apre con il Nikkei di Tokyo di nuovo in rialzo (+ 1.11%).
Nonostante le recenti aperture da parte delle autorità del Paese, la borsa cinese appare ancora debole, con Shanghai in leggero calo (– 0,21%).
Ben peggiore l’andamento, a Hong Kong, dell’Hang Seng, che al momento lascia sul terreno quasi il 2,5%.
In rialzo dello 0,4%, a Seul, l’indice Kospi.
Futures deboli, con cali, in Europa, intorno allo 0,30%, mentre negli Usa sfiorano la parità.
Appena debole, questa mattina, il petrolio, con il WTI che, comunque, si mantiene vicinissimo ai $ 77 (76,85).
Gas naturale Usa a $ 2,693 (- 0,85%).
Ritraccia l’oro, a $ 1.962,10.
Spread che si conferma intorno ai 163 bp, per un BTP al 4,05%.
Bund al 2,48%.
Treasury al 3,94%, mentre il biennale “sta” circa 100 punti più in alto, avvinando il rendimento del titolo a 2 anni al 5% (segno che gli investitori ritengono che le probabilità di una recessione non siano così remote).
€/$ a 1,1129, con il $ che sembra aver ripreso energia.
Bitcoin ancora sotto i $ 30.000 (29.789).
Ps: Jonas Vingegaard ha vinto, per il secondo anno di fila, il Tour de France, la gara ciclistica a tappe più importante del mondo (una sorta di Campionato mondiale che si corre per 21 giorni di fila), con prestazioni da molti ritenute al “limite” umano (per esempio, la capacità di sviluppare circa 450 watt di potenza media, che gli consentono l’ascensione di un dislivello altimetrico di circa 2.000 mt in un’ora). Si direbbe che supera brillantemente anche la “prova costume”: la massa grassa è compresa tra il 3,5 e il 5%…Chapeau (anche se lui è danese).